PENSIONI MINIME? TRE CAFFÈ IN PIÙ AL MESE, SE VA BENE

I pensionati e le pensionate al minimo dal 1° gennaio avranno un aumento di pochi euro al mese: tre caffè, se va bene. È questo il risultato della perequazione delle pensioni nel 2026 fissata all’1,4% dal decreto del ministero dell’Economia. Inutile sottolineare che la misura è assolutamente insufficiente a recuperare la perdita di potere d’acquisto prodotta dall’impennata inflattiva del biennio 2022–2023 e che gli aumenti previsti risultano quasi del tutto erosi dall’Irpef e dalle addizionali, con un impatto reale minimo e in molti casi simbolico. Gli esempi concreti elaborati dall’analisi, al termine dell’articolo, mostrano con evidenza quanto sia grave la situazione. Le pensioni minime che abbiamo preso a riferimento aumenteranno al massimo di 9 euro; una pensione da 1.000 euro ne aumenterà di soli 11 euro al mese; mentre una pensione di 1.500 euro lordi, dopo la tassazione, crescerà di appena 17 euro mensili. E qui parliamo di gente che ha lavorato e versato le tasse e la dice lunga sul provvedimento preso con tanta leggerezza da questa Provincia. Si prosegue su una strada che impoverisce ulteriormente chi vive già con redditi insufficienti. L’assenza di un coordinamento efficace tra perequazione, fiscalità e maggiorazioni sociali produce effetti distorsivi sul piano dell’equità complessiva. In alcuni casi, infatti, i trattamenti assistenziali e le pensioni minime integrate — strumenti indispensabili contro la povertà e giustamente esentata da Irpef — possono determinare importi netti finali molto vicini, e talvolta superiori, a quelli di pensioni contributive leggermente più alte, costruite con anni di lavoro e versamenti. Questo non dipende dalle persone che percepiscono tali prestazioni, che vanno sostenute e tutelate, ma da una normativa che mantiene la no tax area ferma a 8.500 euro annui e non armonizza le regole tra i diversi istituti. Il risultato è un sistema che crea disuguaglianze e di alimentare sfiducia e senso di ingiustizia sociale, compromettendo i princìpi di equità e dignità su cui deve fondarsi la previdenza pubblica. La beffa sulle minime si somma ad altre gravi mancanze del governo. Opzione donna e Quota 103 sono state infatti cancellate, e dal primo gennaio del 2027 come stabilito dalla legge di bilancio tornerà l’adeguamento automatico dei requisiti alla speranza di vita: dal 2027 ci vorrà un mese in più per lasciare il lavoro, due dal 2028 e così via. Anche qui, nonostante le promesse la sterilizzazione si avrà solo per le occupazioni gravose e usuranti, ma riguarderà solo l’1% della platea. Da tempo chiediamo l’allargamento e il rafforzamento della quattordicesima mensilità, strumento fondamentale di sostegno al reddito per milioni di pensionate e pensionati, insieme all’allargamento della no tax area per i pensionati, perché gli aumenti reali vengono oggi assorbiti dal prelievo fiscale e i redditi più bassi stanno sprofondando nella povertà. Il Paese non può permettersi di lasciare indietro chi ha lavorato una vita né di trasformare la condizione delle persone anziane in terreno di propaganda politica. Avevano promesso pensioni più dignitose. Ma, la realtà che vivono ogni giorno lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati è profondamente diversa e dietro agli slogan non c’è una riforma, ma un arretramento dei diritti e della dignità delle persone. Non solo l’azzeramento di qualsiasi forma di flessibilità in uscita, ma dal 2027 si andrà in pensione sempre più tardi e con assegni sempre più poveri. Il 12 dicembre si sciopera anche per le pensioni Noi pensionati e pensionate non possiamo accettare che milioni di noi ricevano aumenti di pochi euro al mese mentre le disuguaglianze crescono e il fisco si riprende gran parte della rivalutazione. Tre, cinque, nove, undici, diciassette euro sono una vergogna. Serve una riforma che rimetta al centro lavoro, contribuzione e diritti. Serve giustizia sociale. Il 12 dicembre saremo in sciopero in tutta Italia anche per rimettere davvero al centro il tema delle pensioni: per difendere dignità e giustizia sociale, per garantire equità e potere d’acquisto a chi ha lavorato una vita. Perché senza una riforma vera e senza rispetto per il lavoro e per le persone, non c’è futuro né per i giovani né per gli anziani.